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Lagune, sentieri fra dune e mangrovie, acque agitate di un oceano che pare non placarsi mai; modi di camminare, pescare e pregare fra forme d'acqua e di terra; emozioni e malattie, corpi molteplici, umani e non umani, in risonanza con un paesaggio in continua metamorfosi; ma soprattutto discorsi, in una lingua inconsueta, che si posano su tale paesaggio e lo ricoprono di una rete di parole che orienta ogni spostamento e al contempo localizza ogni interazione sociale. I nomi in lingua nativa con cui gli ikoots di San Mateo del Mar chiamano innumerevoli luoghi del loro territorio hanno a che fare con tutto ciò. In questo contesto, chiedere "come si chiama quel posto?" o "cosa significa quel nome?" diventa una goccia in un oceano. Tali domande sono solo l'inizio di un percorso di ricerca, al tempo stesso etnografico ed epistemologico, che conduce il lettore alla scoperta di sensi del luogo inaspettati e modi altri di appropriazione del territorio, troppo spesso dissimulati dietro le metafore del "radicamento", dell'"appartenenza" e "ancestralità" che definiscono l'idea stessa di popolazione indigena. Eppure in Messico, come in altre parti dell'America Latina, poter rispondere a queste stesse domande in una lingua nativa non è per nulla scontato, né del tutto indifferente. L'oblio dei nomi di luogo indigeni rischia di essere l'inizio di una rimozione della memoria del paesaggio che può consumarsi nel giro di poche generazioni, preludio della perdita del controllo della terra...